Terremoto del 13 aprile 1808

 

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TERREMOTO DEL 13 APRILE 1808

Traduzione approssimativa dall'originale latino...


NOTE RELATIVE AL TERRIBILE FLAGELLO DEL TERREMOTO CONTRO IL QUALE A MEZZO RESCRITTO DEL REV.MO SIG. ARCIVESCOVO GIACINTO DELLA TORRE IN DATA 16 APRILE 1808 FU ASSEGNATO COME PROTETTORE SANT'EMILIO MARTIRE, VESCOVO DELLA CITTÀ DI ASCOLI PICENO

Il 2 di aprile, alle diciotto e quindici, mentre i salmodianti passavano in piazza per l'accompagnamento funebre di TOMMASO SALICE AIRAUD ci fu un violento terremoto; per il sommovimento della terra quasi tutti i tetti subirono gravi danni, diverse crepe si aprirono in ogni casa, la stessa Chiesa fu colpita in diverse parti fin dalle fondamenta (specialmente la facciata); fu un miracolo se non cadde.

Seguirono molte altre scosse; le pietre cadevano come tempesta da dove si trovavano, in piazza e per le strade...
Chi è in casa non dorme più temendo di restare sotto le macerie e così si trascorse la notte nella paura: si contarono ben 62 scosse dalla predetta ora fino alle ventuno, anche se un po' meno paurose.

Alle ore ventuno e un quarto si sentì un'altra tremenda scossa susseguita da molte altre minori e meno spaventose, di giorno e di notte, in continuazione.

Il giorno 15, venerdì santo alle quattordici un'altra tremenda scossa; dopo mezz'ora un'altra più forte e alle quindici e trenta altre ancora molto forti, mentre in coro si recitava il Mattutino, incutendoci molta paura; mentre ci lamentiamo il sacerdote don Giovanni Odetti allevia il nostro timore con la citazione di Geremia: "Per la misericordia del Signore non siamo stati annientati". Sollevati da queste parole ponemmo la nostra confidenza nel nome del Signore.

Alle diciannove ci atterrì un'altra scossa di grave intensità mentre il predicatore della quaresima il sacerdote Leonardo Candellero, nell'Oratorio della Santa Croce parlava al popolo sulla morte del nostro Salvatore Gesù Cristo: la gente impaurita chiedeva di uscire fuori.

Alle due e dieci dopo mezzanotte del giorno 16, sabato santo, un'altra tremenda scossa, tanto da attenderci la morte per cui dicevamo: "Nelle tue mani Signore affido il mio spirito.

Altre poi più deboli ma continue e alle 6 del mattino una più forte ci costrinse a chiudere le porte della Chiesa, a tralasciare le funzioni del sabato santo, ad innalzare una piccola edicola di legno nella spaziosa piazza del mercato, detta "Gerbido della fiera" ed ivi collocare, col permesso del rev. mo sig. Arcivescovo Giacinto della Torre, il SS.mo Sacramento, celebrare il sacrificio della Messa, ascoltare le confessioni, parlare al popolo, innalzare nelle lacrime preghiere a Dio in mezzo al vento, ai tuoni, alla pioggia pregando il Cielo adirato mentre il terremoto anche se meno violentemente colpiva noi, le nostre case, la nostra terra e perfino le nostre viscere, molte volte al giorno.

Per più di un mese vivemmo così e abbiamo pianto i nostri peccati, causa di una così grande disgrazia, per quanto insicuri e minacciati.

Il 22 di maggio, quinta domenica dopo Pasqua, rimosso quanto in pericolo dentro e fuori la Chiesa, puntellando l'arco e i muri con grandi pali, alle dieci del mattino riportammo in Chiesa il SS.mo Sacramento con molta affluenza di popolo.

Parlò alla gente il predetto predicatore... poi più rare e di minore intensità furono le scosse, quasi ogni giorno (tranne il 15 giugno quando alle ore undici ce ne fu una più robusta) benché non ci intimorissero più tanto.

Il 19 dello stesso mese circa le ore 18 se ne sentì un'altra e poiché si stava pregando in Chiesa si aggiunsero nuove invocazioni.
Ora, 6 luglio, mentre scrivo ci sentiamo sicuri da un così grande castigo.

Da notarsi che rispetto agli anni precedenti è stata maggiore l'affluenza ai Sacramenti anche da parte di chi era lontano da Dio e dalla religione, con preghiere in Chiesa e nelle case private quasi continue, con in più pubbliche processioni penitenziali, abbondante predicazione, digiuni e lacrime da parte di sacerdoti e fedeli imploranti il Divino aiuto.

Tante altre cose degne di nota ci sarebbero da dire ma le attuali calamità non permettono di ricordarle tutte per tramandarle ai posteri.

Quanto sopra, brevemente, perché non cali il silenzio su questo terribile flagello.


Cavour, 6 luglio 1808
Don Giuseppe Pollano
vicario parrocchiale


Sui terremoti (da STATISTICA DELLA PROVINVIA DI SALUZZO di Giovanni Eandi – 1833)